venerdì 8 ottobre 2010

Commissione di palazzo

Red Rom

Via via che leggevo il decreto ministeriale n. 26 dell’11 marzo 2010 mi veniva di stropicciarmi gli occhi. Stentavo a credere che il futuro della scuola di base italiana fosse affidato ad un gruppo di super-esperti, quasi tutti di area accademica, ma tra i quali non riuscivo a trovare nessuno (se non uno o due componenti su 22) che avesse – per studi fatti, per esperienza diretta, per pratica di ricerca – una conoscenza esplicita del nostro primo ciclo (la scuola dell’infanzia, l’elementare, la media). E’ giusto diffidare dell’autoreferenzialità (“…non saranno gli insegnanti a riformare la scuola…” mi sono spesso sentito ripetere), ma qui il paradosso era al di là di ogni limite ragionevole. Ci doveva essere dell’altro, qualcosa di nascosto nelle pieghe del decreto. Non è stato difficile trovarlo, tra le motivazioni dei “visto”, “sentito”, “ritenuto che”. La commissione degli esperti dovrebbe procedere alla revisione delle Indicazioni/2007 del primo ciclo (quindi dei suoi curricoli, se non li vogliamo più chiamare programmi), al loro coordinamento con le Indicazioni per i Licei, recentemente elaborate in vista del riordino della secondaria superiore.
Mi sono chiesto: forse c’è una svista lessicale, un refuso tipografico, perché se è giusto costruire una forma di raccordo tra scuola di base (primo ciclo) e scuola superiore, questo dovrebbe riguardare tutta la secondaria – con i suoi licei, i tecnici, i professionali – e non solo il segmento liceale. Forse che i ragazzi che scelgono i tecnici ed i professionali sono figli di un dio minore? Eppure rappresentano quasi il 60% dei quindicenni italiani, magari quelli che avrebbero proprio bisogno di un legame più forte tra primo e secondo ciclo, non fosse altro per dare vigore alla legge del 2006 che ha elevato l’obbligo di istruzione fino a 16 anni. Poi ho capito. Si vuole un rapporto privilegiato tra i licei e la scuola di base, perché si ha in mente una certa idea di scuola, fortemente differenziata già a 14 anni (in controtendenza rispetto all’Europa) e forse anche prima, con l’obiettivo di costruire una corsia preferenziale per la futura classe dirigente, senza troppi intoppi…. Già le sento le voci dei novelli “revisori dei curricoli”: basta perdere tempo! Occorre lavorare sodo sui contenuti!
E’ urgente riscoprire la grammatica, le tabelline e la calligrafia! In modi certamente rozzi, ci pongono però una questione vera: il ruolo della scuola di base, oggi, nell’era di google e di wiki, e del pervasivo mondo multimediale in cui sono immersi i nostri ragazzi, i “nuovi barbari” di cui ci parla Baricco. Questione vera, ma troppo facile risolverla con una commissione “di palazzo” che sembra guardare all’indietro, quando la scuola la frequentavano solo quelli che erano “portati” per lo studio. Avremo modo di riparlarne.