sabato 20 novembre 2010

La marcia dei 40.000 …e oltre

Red Rom

Si stima un numero di circa 40.000 partecipanti (secondo la Questura…). No, non ci riferiamo alla marcia silenziosa dei 40.000 quadri intermedi che nella plumbea Torino del 1980 scesero in piazza per manifestare contro "l’eccessiva presa dei sindacati sulla vita della Fiat". L’autunno caldo non sembrava finire mai. Quella “marcia” segnò una svolta nelle relazioni sindacali e segnalò una domanda di rappresentanza fino ad allora non raccolta…
Nel caso di oggi, i 40.000 sono i potenziali “quadri” che parteciperanno all’imminente concorso per diventare dirigenti scolastici. Il bando è ormai perfezionato; è probabile la sua pubblicazione nel dicembre 2010; le prove si svolgeranno nella primavera 2011; i vincitori entreranno in presidenza nel settembre 2012. Fin qui la notizia, ma c’è dell’altro…
Intanto, il profilo del dirigente scolastico, che – dieci anni fa - ha preso il posto del Preside e del Direttore Didattico, proprio in relazione all’avvio dell’autonomia scolastica. Con un possibile paradosso: l’idea di autonomia, come autogoverno, come comunità professionale che interagisce con la comunità sociale, sembra collidere con la figura monocratica del dirigente, che resta legato ad una dipendenza verticale dalla Pubblica Amministrazione. Quindi con obblighi di lealtà (si veda il recente Codice di comportamento dei dirigenti) che possono entrare in collisione con l’esigenza di pluralismo culturale, di diritto di espressione, di segnalazione delle “disfunzioni” pubbliche. Un ruolo difficile, dunque, di cerniera tra una funzione di ascolto, di empatia, di vicinanza alla propria comunità e la dura legge della legalità, dell’imparzialità e, oggi, delle compatibilità finanziarie (leggere il comma 5 del famigerato art. 64 della legge 133/2008, per capire i rischi del mestiere).
Eppure, si tratta di un ruolo molto ambito, se è vero che di fronte a quasi 3.000 posti disponibili si presenteranno in 40.000 e oltre. Come mai? Non per il fascino del possibile piglio “manageriale”; forse per la vocazione ad esercitare una funzione di leadership educativa; certamente per la prospettiva di uno status professionale più dignitoso: lo stipendio del dirigente è superiore del 50% a quello del docente (ma il confronto con Marchionne non regge!). Le carriere dei docenti sono chiuse e l’unica prospettiva sembra l’uscita dall’Aula e l’ingresso in Presidenza. Idea che finisce con il penalizzare chi si impegna e fa un buon lavoro con i ragazzi. Ma il problema esiste e andrà al più presto ripreso, con soluzioni condivise, prima che prevalgano spiriti meritocratici d’altri tempi.
C’è comunque bisogno di dirigenti di nuova generazione, capaci di coniugare correttamente la tutela della legalità, il diritto all’apprendimento, la motivazione dei docenti, l’efficienza dell’organizzazione. Abbiamo però seri dubbi sulla procedura adottata, che prevede un testing iniziale di “scrematura” dei candidati, che si presenta assai impegnativo: 100 quesiti da risolvere in un’ora. Avremo finalmente dirigenti “vispi” – mi sembra di sentire la voce dell’amica prof. da sempre seduta nell’ultima fila di turbolenti collegi dei docenti. Fosse così! Il rischio è che questo vero e proprio “quizzone” nazionale alla fin fine sia tutto imperniato solo sul dato amministrativo, sul conformismo normativo, su una minuta conoscenza della nomenclatura giuridica. Aspetti sacrosanti, ma da mettere al servizio di una “direzione” di forte autorevolezza e respiro culturale. Ma non c’erano alternative, diranno i soliti pompieri… Certo, a questo punto non ci sono più alternative (se non sperare in item di buona fattura), ma si dia un’occhiata ai cugini francesi, che hanno “inventato” il pubblico concorso fin dall’ottocento. Lì i concorsi a dirigente scolastico si fanno ogni anno, sono abbordabili, investono sui giovani docenti motivati e con buon curricolo, consistono in analisi di dossier, in scritture professionali, in capacità progettuali e in vision… Tutte cose che non stanno certamente dentro un test. Ma tant’è, a futura memoria, per la prossima volta.

venerdì 8 ottobre 2010

Commissione di palazzo

Red Rom

Via via che leggevo il decreto ministeriale n. 26 dell’11 marzo 2010 mi veniva di stropicciarmi gli occhi. Stentavo a credere che il futuro della scuola di base italiana fosse affidato ad un gruppo di super-esperti, quasi tutti di area accademica, ma tra i quali non riuscivo a trovare nessuno (se non uno o due componenti su 22) che avesse – per studi fatti, per esperienza diretta, per pratica di ricerca – una conoscenza esplicita del nostro primo ciclo (la scuola dell’infanzia, l’elementare, la media). E’ giusto diffidare dell’autoreferenzialità (“…non saranno gli insegnanti a riformare la scuola…” mi sono spesso sentito ripetere), ma qui il paradosso era al di là di ogni limite ragionevole. Ci doveva essere dell’altro, qualcosa di nascosto nelle pieghe del decreto. Non è stato difficile trovarlo, tra le motivazioni dei “visto”, “sentito”, “ritenuto che”. La commissione degli esperti dovrebbe procedere alla revisione delle Indicazioni/2007 del primo ciclo (quindi dei suoi curricoli, se non li vogliamo più chiamare programmi), al loro coordinamento con le Indicazioni per i Licei, recentemente elaborate in vista del riordino della secondaria superiore.
Mi sono chiesto: forse c’è una svista lessicale, un refuso tipografico, perché se è giusto costruire una forma di raccordo tra scuola di base (primo ciclo) e scuola superiore, questo dovrebbe riguardare tutta la secondaria – con i suoi licei, i tecnici, i professionali – e non solo il segmento liceale. Forse che i ragazzi che scelgono i tecnici ed i professionali sono figli di un dio minore? Eppure rappresentano quasi il 60% dei quindicenni italiani, magari quelli che avrebbero proprio bisogno di un legame più forte tra primo e secondo ciclo, non fosse altro per dare vigore alla legge del 2006 che ha elevato l’obbligo di istruzione fino a 16 anni. Poi ho capito. Si vuole un rapporto privilegiato tra i licei e la scuola di base, perché si ha in mente una certa idea di scuola, fortemente differenziata già a 14 anni (in controtendenza rispetto all’Europa) e forse anche prima, con l’obiettivo di costruire una corsia preferenziale per la futura classe dirigente, senza troppi intoppi…. Già le sento le voci dei novelli “revisori dei curricoli”: basta perdere tempo! Occorre lavorare sodo sui contenuti!
E’ urgente riscoprire la grammatica, le tabelline e la calligrafia! In modi certamente rozzi, ci pongono però una questione vera: il ruolo della scuola di base, oggi, nell’era di google e di wiki, e del pervasivo mondo multimediale in cui sono immersi i nostri ragazzi, i “nuovi barbari” di cui ci parla Baricco. Questione vera, ma troppo facile risolverla con una commissione “di palazzo” che sembra guardare all’indietro, quando la scuola la frequentavano solo quelli che erano “portati” per lo studio. Avremo modo di riparlarne.